Da molti anni, il tassametro delle
mutilazioni e delle morti sul
lavoro, prosegue nella sua ineluttabile e costante - troppo costante -
rotazione, immune e sarcastico nei
confronti di qualunque tentativo di fermarlo. Perché? Forse, quei tentativi,
sono prevalentemente fatti di urla e
sincere, quanto inutili, manifestazioni
di sdegno? Oppure di furbesche,
quanto efficacissime finzioni adorne di
parole e propositi di chi nasconde la
responsabilità, scandalosa, dello sfregio quotidiano alla
salute, alla sicurezza,
e, infine, alla dignità
dei lavoratori italiani?
E' probabile che sia
così.
Osservando i dati sull'andamento degli
infortuni si rileva, plasticamente, il problema del sistema Italia a
tutelare la salute dei
suoi lavoratori.
Prendiamo come
paragone il periodo che va dal 2000 al
2020: nel 2000 ci furono 991.843 infortuni denunciati e quelli con esito mortale risultarono essere 1389; nel 2020
i casi denunciati sono 572.018 e gli
esiti mortali 1538, nel mezzo si nota,
anno dopo anno, un calo quasi costante degli eventi denunciati senza che ci
sia analoga diminuzione dei casi mortali. Cosa si evince da questi dati?
Pare evidente che a calare sia la
voglia o la possibilità di dichiararli gli
infortuni, sicuramente non il loro numero complessivo e drammaticamente
reale. Eppure da molti anni a questa
parte assisto periodicamente ad
aggiustamenti della normativa, dichiarazioni di assunzione di personale
dedicato ai controlli ecc.
La realtà è che ci sarebbe davvero
necessità di rivedere la normativa, non
per modificarla o renderla ancor meno
comprensibile o blanda, come è già
stato fatto fin dal 2009, a meno di un
anno dall'entrata in vigore del Dlgs. N.
81/2008, ma per renderla efficace e
per dare agli operatori del settore e alle
figure professionali individuate nella
Legge stessa, l'autorità e la responsabilità necessaria a fare qualcosa che
nessun organo di controllo o apparato
repressivo può fare: la prevenzione.
Sono passati ormai quasi trent'anni
dalla pubblicazione della 626/94, la
legge che recepiva alcune direttive
europee che imponevano, agli stati
membri, di adeguarsi agli standard previsti in ordine al miglioramento della
sicurezza e salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro. La domanda è: perché
questa normativa non è entrata con
forza nel comune sentire dei lavoratori e
delle loro famiglie?
I motivi sono molteplici. Ricordo ora che
in piena crisi provocata dagli speculatori finanziari, un ministro della
Repubblica intervenne in due occasioni pubbliche per dire che : " la 626 è un
lusso che non possiamo permetterci".
Ricordo che, uno dei due eventi, si svolgeva a Cernobbio ed era quella simpatica liturgia che ogni anno mettono in
scena gli industriali italiani per ribadire al
governo le loro pretese di assistenza.
Quel giorno, combinazione, si presentò
in visita di cortesia una delegazione di
dirigenti della Thyssenkrupp, da poco
condannati per omicidio con "dolo eventuale" per aver accettato il rischio di
mandare a morte delle persone, risparmiando i quattro soldi necessari a mettere in sicurezza la linea di laminatoio
che poi provocò la morte di sei lavoratori. Quel giorno, i nostri industriali e il
ministro, accolsero tutta questa bella
gente con uno scrosciante applauso.
Inutile dire che, in tutto il Paese, dal
Presidente della Repubblica ai sindacati alle varie chiese di varia natura o
culto, non si ascoltò una sola voce di
sdegno, non si vide una smorfietta di
disgusto o un'imprecazione. Nulla!
Eppure, anche quel giorno come quello
prima e come certamente sarebbe
avvenuto il giorno appresso, tre persone e mezza sarebbero morte sul lavoro,
ma siccome non ne dava conto la TV era come se non ci fosse nulla da ricordare o da dire.
Si potrebbe anche dire che, negli ultimi
decenni, molte leggi contro il lavoro e
contro i diritti dei lavoratori sono state
approvate. Leggi che fanno a pugni
con il concetto di salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro e che, per contro,
vanno d'amore e d'accordo con il concetto - ormai divenuto valore universale - di profitto e addirittura di sfruttamento. Lo vediamo in questi giorni con
la polemica, stucchevole, sul reddito di
cittadinanza: padroncini con la
bava alla bocca vengono istigati, in TV, da ricchi signori e "feroci conduttori di trasmissioni
false" -permettetemi la citazione- a scambiarsi insulti ed offese con alcuni percettori di questo reddito, accusandoli di essere dei parassiti perché, potendo
andare a lavorare nelle loro botteghe con stipendi da fame, con
orari indefiniti e con nessuna
garanzia o diritto, preferiscono
declinare l'offerta e continuare a
percepire il misero reddito. Se vedo
queste realtà, trovo subito una risposta
alla domanda di prima.
Il fatto è che io sono a mia volta Italia,
una piccola parte forse, ma voglio
essere italiano come lo furono
Gramsci, Amendola, Secchia, Terracini
e molti altri che erano italiani e stavano
in carcere, o al confino, mentre gran
parte dei loro connazionali sbattevano
i tacchi e facevano il saluto romano.
Loro non credevano che fosse quella
l'Italia, o che dovesse essere quella e
per questo motivo proseguivano nella
loro lotta contro un pensiero che trovavano ingiusto ed inumano, perché
negava il fatto che l'uomo, in quanto
tale, è portatore di diritti inalienabili.
Anni dopo, gli stessi uomini, e tutti noi,
abbiamo visto gli stessi concetti nella
dichiarazione mondiale dei diritti
umani. A noi toccherebbe il compito di
farli diventare realtà e dobbiamo trovare la forza, anche nella difficoltà attuale, di non farli dimenticare.
La salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è fatto che riguarda la sinistra, perché attiene ai diritti umani e alla dignità
stessa della persona umana.
Dobbiamo fare di più
Giovanni Modaffari - 15.06.2022