Fuori c'è il sole e l'arsura, ma sta
per abbattersi una nuova stagione delle piogge. E come sempre
non ci bagneremo tutti allo stesso
modo. E' quanto sta accadendo con
l'impennata dell'inflazione che erode il
potere d'acquisto delle famiglie. Di
quelle americane e di quelle europee.
In Africa e nelle nazioni più povere del
globo piove, ancora una volta, sul
bagnato: si rischia una catastrofe alimentare dovuta all'aumento delle materie
prime.
"Tutta colpa della
guerra di Putin", si
affannano a ripetere i
telegiornali di tutto il
Mondo.
Ma è veramente così? Proviamo a
procedere per gradi.
A maggio l'indice dei
prezzi al consumo USA
ha toccato l'8,6% su
base annua, un valore
che non si vedeva dal
1981. Anche in Italia
non si scherza. Si stima
una crescita dell'inflazione al 6,8%, un livello
che non si vedeva dai
primi anni novanta del secolo scorso.
A spingere in alto il livello dei prezzi
sono i beni energetici e delle materie
prime, un eccesso di domanda di fronte a carenze nelle forniture di semilavorati, componenti e beni finiti alle
industrie e alle catene distributive.
L'Europa è più esposta al primo fattore
a causa della sua elevata dipendenza
dall'estero per le forniture di gas, mentre i lockdown da Covid in Cina accentuano i problemi alle catene di approvvigionamento dei beni intermedi e
riguardano l'intero globo. In Italia la
corsa al rialzo è trainata dai beni energetici regolamentati (energia elettrica
a mercato tutelato e gas di rete per
uso domestico) e non regolamentati
(carburanti per gli autoveicoli, lubrificanti, combustibili per uso domestico,
energia elettrica a mercato libero), dei
beni alimentari e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona.
E' evidente che l'aggressione della
Russia abbia contribuito al rialzo dei
prezzi delle materie prime. Ma, come
descrive Edoardo Bella in un articolo
pubblicato sull'Osservatorio dei Conti
Pubblici, l'aumento dei prezzi dopo l'inizio delle ostilità rappresenta solo 1/3
di quello verificatosi durante tutto il
periodo a decorrere dalla pandemia. In
particolare, il prezzo del gas naturale,
del petrolio, dei principali cereali (frumento, mais e riso), delle materie
prime agricole e dei metalli erano già
aumentati prima del febbraio 2022.
L'implicazione di questa analisi è che,
se anche la fine delle ostilità portasse
a un ritorno dei prezzi delle materie
prime a livelli precedenti l'aggressione
all'Ucraina, questi prezzi resterebbero
molto più alti rispetto a quelli osservati
un paio di anni fa. Il caro prezzo è
datato a quanto successo durante la
pandemia. E' da allora che l'indice
composito delle materie prime ha iniziato a salire repentinamente.
Vediamo adesso le contromosse per
contrastare l'aumento dei prezzi e l'inflazione. Negli Usa la Federal Reserve ha deciso di aumentare i tassi d'interesse di tre quarti di punto, il maggior
rialzo dal 1994, per contenere l'inflazione pìù alta degli ultimi 40 anni.
L'obiettivo è quello di allentare i consumi, per allentare la pressione sui
prezzi. Anche in Europa la BCE intende stringere i cordoni, annunciando la
fine del quantitative easing ed un
prossimo aumento dei tassi d'interesse a cui ha fatto seguito la dichiarazione di un nuovo
scudo anti-spread e
l'uso flessibile dei 1.700
miliardi di euro di bond
comprati col programma pandemico, da reinvestire man mano che
arriveranno a scadenza. Un rialzo che ci
costerà molto caro visto
l'elevato indebitamento
del nostro Paese, con
forti tensioni sullo
spread.
Ciononostante, come
osserva Marco Fortis
sull'HP, la produzione
industriale italiana del
trimestre febbraio-aprile
2022 è cresciuta del 2% rispetto al
precedente trimestre novembre 2021-
gennaio 2022. Si tratta del più forte
aumento tra i maggiori Paesi
dell'Eurozona. Un andamento nettamente in controtendenza rispetto alla
Germania (-1,3%) e alla Francia (-
0,3%) che ribadisce l'accresciuta
competitività del Made in Italy. Stiamo
quindi vivendo una fase complessa e
caratterizzata da aspetti contraddittori, dove la riduzione del potere d'acquisto delle famiglie vede anche,
all'opposto, la tenuta della manifattura, la crescita delle costruzioni e la
ripartenza del turismo dopo la fine dei
lockdown.
Ma chi paga tutto questo? Come già
avvenuto per il Covid non piove per
tutti allo stesso modo. L'erosione del
potere d'acquisto colpisce prevalentemente le famiglie dei dipendenti e dei
pensionati che non possono rivalersi
su nessuno, ma solo alleggerire il carrello della spesa. Anche il mondo del
lavoro è alquanto variegato: sono
penalizzate soprattutto le famiglie
monoreddito, i lavoratori precari, le donne che dispongono, ahimè, di stipendi più bassi rispetto agli uomini.
Alla riduzione dei consumi si associa il
valore dei risparmi, con rendimenti
reali negativi. Sinora il Governo è
intervenuto con diversi decreti, sterilizzando, (almeno in parte) gli aumenti,
azzerando gli oneri di sistema sulla
bolletta, estendendo il "bonus sociale
elettrico", abbattendo le accise sui
carburanti attraverso la tassazione
degli extraprofitti ed introducendo un
bonus di 200 euro per i redditi inferiori a 35mila euro.
Ma è sufficiente tutto questo? A me
sembra che non ci sia la volontà politica di affrontare alcuni nodi strutturali.
Si richiedono i sacrifici alle categorie
di sempre lasciando i privilegi ad altri.
Un esempio su tutti è la discussione
che ruota attorno alla riduzione del
cuneo fiscale, la mancata riforma
della delega fiscale oppure la mancata revisione del catasto. Come scrive
Vincenzo Visco sul Sole 24 ore, solo
in Italia si insiste sulla necessità di
ridurre il cuneo fiscale, ma si rifiuta di
dire come tale opportuna riduzione
dovrebbe essere finanziata. Tutte le
forze politiche e sociali sono impegnate a chiedere riduzioni della tassazione a carico del disavanzo pubblico,
perché l'idea di redistribuire il prelievo
esistente non viene neanche presa in
considerazione. Non c'è dubbio che
un aumento dei salari e una riduzione
del costo del lavoro siano quanto mai
opportuni attraverso la contrattazione
e l'introduzione del salario minimo
orario. Ma questo necessita di una
riforma fiscale vera e consapevole dei
problemi sul tappeto: se si vuole ridurre la pressione eccessiva sui redditi di
lavoro, bisogna tassare di più altre
componenti del valore aggiunto o
della capacità contributiva esistente:
redditi da capitale, rendite varie, royalties, brevetti, patrimoni, redditi evasi
ed elusi o indebitamente esenti, spese
fiscali ed altri trattamenti privilegiati.
Bisogna ridurre i privilegi di alcuni e
non chiedere i sacrifici sempre agli
stessi.
Non vi sono altre strade.
Diversamente, per usare le parole di
Ezio Mauro, le diseguaglianze si trasformano in esclusioni.
Peppe Garau
20.06.2022