Nell'attuale situazione politica è di basilare importanza discuterne
L'aver partecipato recentemente
ad un'assemblea in videoconferenza di iscritti ad "Articolo uno",
preparatoria del congresso che si dovrà
svolgere in aprile, in cui si è largamente
dibattuto sulla necessità o meno di presentare una mozione alternativa rispetto a quella già depositata dall'attuale
segretario, mi ha costretto a un profondo esame sul ruolo che deve avere il
partito della sinistra, a mio avviso sottovalutato e trascurato in quella sede,
soprattutto perché personalmente lo
ritengo invece di grande attualità e di
importanza basilare nell'attuale situazione politica generale.
Trovo un certo disagio nell'affrontare
questo (per me) scottante tema e dico
allora agli eventuali lettori (spero giovani
- ci vuol molto poco a essere più giovane di me!): mi auguro che ciò "che
segue" non venga preso solo come il
monotono mugugno di un noioso compagno che fu operaista (orribile termine
che ci portiamo appiccicato addosso) la
cui ostica razza è, per gravame degli
anni e zavorra del vissuto, sulla strada
dell'estinzione. Nessuna nostalgia! La
nostalgia è una brutta malattia in tempo
di crisi. Solo considerazioni di un vecchio compagno che si sforza di vivere
nell'attualità storica e non nel presente.
L'attuale deserto politico che ci hanno
creato attorno ci impone, a mio modo di
vedere, una ponderata riflessione con
caratteristiche di necessità e urgenza,
su quel che ci resta oggi della parola
"partito" e su quel che riesce a dire per
noi (e non per gli altri) la parola "sinistra".
Necessità e urgenza per poter andare
all'attacco, perché il tempo della diplomatica attesa è finito, posizionarsi
comodamente su una delle postazioni
esistenti non è più sufficiente, è invece
urgente aprire un nostro varco di fuoruscita da questo stallo di subalternità che
dura da troppo tempo.
Tutto questo si può fare e va fatto prima
di tutto con un rovesciamento di cultura
dentro una rinnovata battaglia delle
idee, con il dichiarato obiettivo di dare
forma a uno spirito egemonico di parte,
ridisegnando unità e differenze del pensare e dell'agire, rispetto al passato e
contro il presente (questo eterno presente!). Tale spirito egemonico io lo individuo nel partito - presuntuosamente mi
sono sempre ritenuto uomo di partito
anche quando sono stato senza tessera.
Bisogna riproporre una lotta per l'egemonia, per l'egemonia culturale come lotta
politica e bisogna declinarla nella lotta tra
qualità e quantità. Dobbiamo essere
paladini del quale contro il quanto.
Oggi l'egemonia culturale capitalistica si
declina in due modi: quanti soldi hai,
quanti voti hai. Queste due cose sono
estremamente organiche tra loro. Si fa il
conto. Il calcolo è la cosa che fanno tutto
il giorno lor signori. Sono sempre lì a fare
conti, con il piglio dei ragionieri: queste
sono le entrate, queste sono le uscite,
questo è il debito, bisogna rientrare dal
debito e quindi bisogna tassare ora di
qua e ora di là. L'Italia o anche l'Europa
non è altro che un gruppo di signori che
continua ad avvertire "attenzione, siete
usciti, dovete rientrare nel debito" ... E' il
primato dell'economia, il primato della
quantità. E non dimentichiamo mai che
c'è da tener presente che questo è un
tempo distratto rispetto al mondo delle
idee. Davanti ad esse sta, sovrastante,
l'immagine. Come, davanti al reale, sta,
prepotente, il virtuale.
Come è possibile distogliere l'idea e la
pratica di democrazia - intendiamoci: di
questa democrazia - da questo principio,
che ora è un principio assoluto? La
democrazia assoluta è un principio di
maggioranza: ma perché questo principio è così assoluto? Perché se la maggioranza decide una cosa questa è la
cosa giusta? Non c'è alcun nesso tra
queste due cose: la maggioranza decide
normalmente la cosa sbagliata - soprattutto perché è una decisione di parte, dell'altra parte della società, quella che combattiamo - essendo una maggioranza
massificata, ordinata dentro un sistema di
consenso. Contro questa democrazia noi
possiamo poco, a meno di non considerarla come è stata considerata, giustamente, nei settori più avanzati del movimento operaio, cioè come il terreno più
avanzato di lotta per cambiare a proprio
vantaggio le leggi del sistema.
Quindi, sulla base dell'esperienza storica
del movimento operaio - la nostra migliore memoria, non dimentichiamolo - assumiamo il terreno della democrazia (sempre questa democrazia!) come quello più
favorevole e diciamo che siamo per i
sistemi democratici ma non perché questa democrazia sia un valore universale,
ma solo perché essa è il terreno più favorevole per il superamento del capitalismo
organizzando masse e lotte di massa per
combatterlo.
Bisogna riproporre una grande teoria pratica della minoranza, ma una minoranza
attiva, agente, una minoranza centrale,
non marginale.
Problema: come è possibile praticare la
centralità politica della minoranza?
Semplice! Basta non dimenticare, basta
rifarsi alla nostra storia, basta ricavarla
dal modello e dal percorso politico del
movimento operaio. Qui la logica di quello che è stato definito pensiero "operaista" c'è tutta. Ricordiamo che la classe
operaia era una minoranza e ha combattuto contro l'idea che diventasse classe
generale, classe universale. Era la classe
parziale. Nel momento in cui riconoscevamo alla classe operaia la sua parzialità
riconoscevamo anche che era minoranza. Anche se si fosse votato, nel momento in cui la classe operaia era centrale da
un punto di vista sociale (come di fatto lo
era), anche allora nel contesto delle maggioranze sarebbe stato un voto di minoranza rispetto all'assieme della società.
La classe operaia era minoritaria da un
punto di vista quantitativo, ma qualitativamente centrale.
E le conquiste non sono state cosa da
poco se oggi siamo costretti a difenderle
dai continui pesanti attacchi dei governi
passati e presente: la riduzione dell'orario
di lavoro e lo statuto dei lavoratori (famosa legge 300/1970), le varie leggi sulla
casa (167, 765, 865 ...), le leggi sul divorzio (L. 898/1970) e sull'aborto (L.
194/1978), la riforma sanitaria (L.
833/1978) per citare soltanto quelle più note. La classe operaia esprimeva politica, forma organizzata e cultura - alta cultura - esercitava egemonia nella società
pur essendo in una posizione di minoranza. Quindi classe non marginale e
tantomeno emarginata, con grande autorità di presenza politica.
Queste sono le esperienze del passato
che dobbiamo recuperare per costruire il
futuro, ma in forme nuove, se vogliamo
lavorare per costruire la sinistra.
La politica, la nostra politica, ha un doppio movimento: sale dal basso e scende
dall'alto. Le recenti esperienze ci hanno
insegnato che se si isolano l'uno dall'altro
questi due passaggi si va incontro a guasti. La partecipazione senza decisione è
cieca. La decisione senza partecipazione è vuota. Oggi è facile partecipare, è
difficile decidere. Facile intervenire dal
basso nell'età della comunicazione di
massa diventata interattiva. La rete non è
un male in sé, lo diventa quando viene
elevata a nuova sede della sovranità
popolare, quando sostituisce le sedi istituzionali, quando cancella le forme organizzate della politica, quando, appunto,
vuole decidere anziché partecipare.
Allora da qui deve partire la sinistra che
dobbiamo costruire: partire sostituendo
al vecchio e tanto caro grido di sessantottesca memoria "un altro mondo è
possibile" con il nuovo e più realistico "un
altro mondo è necessario". E deve passare nelle mani di una potenza politica
organizzata che si ponga come elemento di congiunzione tra eroico passato e
futuro di lotta. In questi anni è stato volutamente disarmato l'esercito che aveva
combattuto la lotta di classe, noi dobbiamo fornirlo di nuove armi anche molto
diverse da quelle.
In questo misero tempo che stiamo
vivendo è importante richiamare spesso,
soprattutto per chi verrà, la necessità, di
una coltivazione gelosa della memoria.
Oggi mi pare di vedere più chance rivoluzionaria in un nostro passato, che nessuno ci può togliere, rispetto a un futuro,
che ci è già stato tolto, tutto ormai nelle
mani di chi comanda. Stiamo dentro
questa terribile stretta e ripetiamo che
mai come oggi un altro mondo è necessario e mai come oggi un altro mondo
non è possibile. Diciamo: non lo è per il
momento. Quanto sarà lungo questo
momento, non sappiamo. Dipende da
noi. Qui torna il concetto, teoricostorico,
di rivoluzione. Teniamo presente che la
rivoluzione non è più l'atto con cui si
prende il potere, ma il processo con cui si
gestisce il potere. Riformisti prima, rivoluzionari solo dopo.
Allora lotte, conflitti per e di nuovi soggetti alternativi contro un vecchio nemico
che si presenta in forme nuove: fondare
una sinistra unita per il riscatto di tutti
quelli che stanno in basso e che per non
stare più in basso hanno bisogno di una
nuova forza e questa nuova forza si chiama partito.
Le moderne condizioni del lavoro di oggi
costituito da polverizzazione, dispersione, individualizzazione, precarizzazione,
non-lavoro, le figure nuove del lavoratore
autonomo di prima, seconda e terza
generazione hanno bisogno di affidarsi a
una potenza organizzata che prima di
tutto li difenda perché sono deboli e
hanno a che fare con i potenti. E vogliono far parte di un soggetto politico in
grado di rappresentarli e organizzarli, di
promuoverli, di emanciparli e infine di
liberarli.
E' questo il lavoro che ci attende se,
come si diceva un tempo, vogliamo trasformare il cammino in un processo.
Mario Loi
21-03-2022