Aumento dei carburanti: è proprio come fare un pieno di tasse
Non bastava l'aumento del prezzo internazionale del gas a rendere più onerosa la bolletta della luce. Adesso dobbiamo fare i conti anche con la crescita del carburante causato dall'aumento del prezzo del petrolio. Nell'ultimo anno il costo del barile è passato da 43 dollari a 83 euro. Praticamente raddoppiato, con effetto domino sui trasporti e sui carburanti. Il Codacons parla di una nuova stangata per le famiglie 357 euro l'anno.
La benzina continua ad aumentare e costa oggi il 17% in più da inizio anno. Il prezzo medio della benzina "self service" è di 1,70 euro al litro. Il diesel, invece, sale a 1,56 euro al litro. Per quanto riguarda il rifornimento assistito, il cosiddetto "servito", la benzina schizza a 1,84 euro mentre il diesel viaggia a 1,70 euro al litro e il Gpl oscilla tra 0,760 e 0,785.
Questo significa che un pieno di benzina verde è più caro di 12,2 euro rispetto a inizio anno e di 15 euro sul 2020. Il gasolio da gennaio ha subito invece un rincaro del +16,4%, mentre in un anno è cresciuto del +21,7%, con un aggravio di 13,7 euro a pieno. Secondo una classifica stilata da Bloomberg, siamo il quarto Paese al mondo con il prezzo più alto e gli automobilisti lo sanno bene. Ma come é composto il prezzo della benzina e da cosa dipende? Come mai quando il costo del petrolio diminuisce, non si riduce subito anche quello della benzina? Il nostro pieno si compone di 3 macrovoci. Supponiamo che un litro di benzina costi 1,80 euro al litro e noi riforniamo per 100 euro.
La prima voce è il costo della materia prima, determinato da platts, ovvero il prezzo all'ingrosso sul mercato internazionale. Su questa voce finisce il guadagno della parte iniziale della filiera, cioè quello delle compagnie petrolifere, che corrisponde al 27% del prezzo della benzina. Sul prezzo del diesel, invece, il platts pesa per il 32%. Ipotizzando che un litro di benzina costi 1,80 euro al litro, il costo della materia prima incide per circa 50 centesimi al litro e quindi 27,00 euro totali nel nostro caso.
Occorre quindi considerare i costi di raffinazione del petrolio. I margini delle compagnie petrolifere e quello dei distributori sono molto inferiori rispetto a quelle che si occupano dell'estrazione.
La libertà di azione dei distributori e dei benzinai che vendono al dettaglio agisce solo su questa fetta del prezzo totale, un fetta decisamente minoritaria. Ecco perché le differenze tra diversi distributori sono davvero minime. Il margine lordo delle compagnie è pari a circa il 7,8% del prezzo (12,5% per il diesel), corrispondente a 14 centesimi di euro sul totale del prezzo della benzina (21 per il diesel). Solo su questa percentuale i distributori possono fare qualche sconto, ritoccando il prezzo con promozioni varie. Nel nostro caso se ne vanno circa 8 euro su un totale di 100. Purtroppo, come è facile immaginare, sul prezzo della benzina pesano soprattutto accise, IVA e altri balzelli. Più della metà del costo del carburante va infatti nelle casse dello Stato. Le imposte infatti occupano il restante 64,5% (benzina) e 58,5% (diesel) sul prezzo totale. In pratica se un litro di benzina costa euro 1,80, un euro circa va al fisco. Il prezzo della benzina senza accise e altre tasse quindi, sarebbe nettamente inferiore. In definitiva, se non ci fossero le accise, la benzina e il diesel costerebbero insomma tra il 30 e il 40% in meno rispetto al prezzo che oggi paghiamo alla pompa.
Le accise, in particolare, vanno a pesare per più della metà sul prezzo totale dei carburanti. Non si tratta del livello di tassazione più alto in assoluto in Europa: Grecia e Francia sono sullo stesso livello dell'Italia. Rimane il fatto che rispetto alla media Ue oggi un italiano paga la benzina l'8,9% in più, con un maggiore esborso pari a +6,5 euro a pieno, e addirittura l'11,2% in più il gasolio (+7,2 euro a pieno).
Sono ben 19 le accise sui carburanti che gravano sulle tasche degli automobilisti italiani. Si tratta di imposte di scopo, introdotte dai vari governi per raggiungere specifici obiettivi legate a fattori geopolitici, che affondano radici piuttosto lontane nel tempo. Quando acquistiamo un litro di benzina paghiamo il finanziamento per la guerra d'Etiopia (1935-1936), della crisi di Suez (1956), le ricostruzioni dopo il disastro del Vajont (1963), la ricostruzione dopo l'alluvione di Firenze (1966), dopo il terremoto del Belice (1968), dopo il terremoto del Friuli (1976), dopo il terremoto dell'Irpinia (1980), il finanziamento per la guerra del Libano (1983), per la missione in Bosnia (1996), il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004), l'acquisto di autobus ecologici (2005), la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila (2009), il finanziamento alla cultura (2011), l'emergenza immigrati dopo la crisi libica (2011), l'alluvione in Liguria e Toscana (2011), il decreto "Salva Italia" (2011) e il terremoto in Emilia (2012).
Le accise sono imposte sul consumo, ed essendo fisse colpiscono chi viaggia di più. Secondo una ricerca del Censis di pochi anni orsono, in termini relativi usano di più l'auto gli operai, mentre impiegati e studenti usano di più i mezzi pubblici. Questo significa che le accise gravano soprattutto sui redditi medio bassi, con effetti regressivi. Stesso discorso vale per l'IVA. Oltre alla beffa di doverla pagare anche sulle accise (praticamente un'imposta su un'altra imposta) essendo proporzionale al 22% grava allo stesso modo su ricchi e poveri, su dirigenti ed operai. Con l'aggravio che all'aumentare del greggio cresce proporzionalmente.
In passato si è provato a sterilizzare l'Iva sulla benzina in caso di aumenti dei prezzi internazionali dei carburanti per cercare di frenare gli aumenti ai consumi. Ma è chiaro che non si tratta di una misura sufficiente. Gli aumenti della bolletta elettrica e del carburante vanno calmierati urgentemente dal Governo attraverso la riduzione delle accise e delle imposte indirette sostituendo il mancato gettito attraverso il prelievo su altri beni che godono di tassazioni privilegiate, come le rendite immobiliari o i grandi patrimoni finanziari.
Peppe Garau