Le conquiste delle generazioni precedenti sono state erose
«L'Italia
è
una
Repubblica
Democratica,
fondata
sul
lavoro.
La
sovranità
appartiene
al
popolo,
che
la
esercita
nelle
forme
e
nei
limiti
della
Costituzione.»
I nostri
padri costituenti intesero il lavoro come collegamento tra
democrazia e sovranità popolare.
Se questo
collegamento salta, si
crea diffidenza
tra società e
rappresentanza.
Dagli
anni'90 in
poi il
lavoro ha subito
profonde trasformazioni
e principalmente sulla generazione
anni '80
è ricaduto
gran parte
del peso
di queste
riforme del
mercato del
lavoro.
E' la
prima generazione della storia moderna più povera rispetto a quella
dei propri genitori; quella con
meno risparmi;
quella che
guadagna meno; quella
con contratti
carenti di
tutele.
E' stata
la prima a fare i conti con forme di lavoro povero e con l'idea di un
futuro sistema pensionistico
fragile.
Una generazione giovane ma non più cosi giovane da avere tutte le
strade aperte davanti; che si è
formata a cavallo tra due secoli e che porta quindi con se una
visione, una formazione e dei valori di
un mondo del lavoro e di una società che sono profondamente
mutati. L'ultima non nativa digitale.
Ma soprattutto quella che in meno di dieci anni ha dovuto
subire il forte trauma di un
mercato del lavoro
diventato flessibile e di un sistema colpito prima dalla recessione
economica del 2008 e poi dalla
crisi pandemica del 2020.
Questa
generazione convive ormai cosi quotidianamente con la parola
precarietà che l' ha
interiorizzata, arrivando
a normalizzarla:
tirocini utilizzati al
posto di
contratti di
lavoro subordinato;
praticantati professionali spesso non rimborsati; collaborazioni che
fino a qualche anno fa
non prevedevano neppure la copertura contributiva;
finti part-time; finte partite iva; contratti a
chiamata; fino al
2017 i voucher;
e naturalmente
gli immancabili
"lavoretti" in
nero.
E'
una generazione
terrorizzata dai
costi della partita
IVA e
la cui
massima ambizione
è -
soprattutto nelle
aree del paese economicamente più depresse, dove il settore privato
è in forte difficoltà - quella
(ardua!) di
superare un concorso pubblico.
E' una
generazione che si è dovuta dimenticare l'idea della stabilità
economica e personale perché
non può fare progetti di lungo periodo; si è dovuta
reinventare di anno in anno inseguendo le
esigenze di un mercato del lavoro che non li ha mai agevolati;
ha inviato una marea di curricula,
sentendosi il più delle volte ignorata o, nella migliore
delle ipotesi, leggendo come risposte delle
notifiche automatiche.
Trattasi
di persone
in gran
parte sovraistruite
(con più di
una laurea,
con differenti
specializzazioni e con
esperienze all'estero) che faticano a trovare un impiego e quando lo
trovano è sottopagato e, nella
maggior parte dei casi, niente ha che fare con la loro formazione. E'
una generazione di persone
troppo formate per
la mansione che svolgono.
Il
precariato è per questa generazione la norma e l'Italia un paese che
non le offre speranza. Molti
emigrano, per non tornare più.
Le
conquiste ottenute dalle generazioni precedenti sono state
progressivamente erose. Negli ultimi
decenni ci si è infatti scordati che se tuo non lotti ogni
giorno per i tuoi diritti piano piano te li
tolgono.
L'Italia
ha (ingenuamente?) sostenuto un modello che ha puntato
all'indebolimento dei corpi
intermedi
(partiti; sindacati; associazioni)
e della
contrattazione collettiva.
Ha preso
piede il pregiudizio verso il ruolo del pubblico; si è investimento
meno sullo stato sociale; si
è privatizzato (si pensi ai danni fatti in sanità che l'emergenza
Covid ha messo in luce); si è
delocalizzato (che ha significato perdita di occupazione;
dispersione del know-how; ricorso agli
ammortizzatori sociali
a carico dello
Stato; territori
inquinati e
non bonificati).
Nel 2015 è infine venuto meno lo storico equilibrio di rapporti di
forza tra mondo dei lavoratori e
mondo dell'impresa.
E' stata
una visione che ha pensato che rendere piu facile licenziare potesse
contribuire a far assumere
di più. Peccato fosse una vecchia idea e vederla applicare da un
governo che si definiva di
centro-sinistra ha
creato non
pochi abbandoni
da una
parte di
società (quella
più fragile)
che non
si è sentita
più rappresentata.
Mentre
la politica italiana credeva che diminuire le tutele lavorative
potesse aumentare la
produttività, altri paesi hanno invece pensato che non
bastasse creare occupazione ma che questa
dovesse essere di
qualità.
Hanno
creduto al fatto che un buon lavoro fosse alla base di una buona
impresa: innovazione; qualità
del lavoro; servizi;
ricerca; aumento
delle competenze.
Da
cosa si
potrebbe ripartire
concretamente per
superare la
precarietà di
questa generazione?
Concertazione:
tornare a credere nel dialogo fra le parti sociali; ridare forza al
ruolo dei corpi intermedi
ed estendere
la contrattazione
collettiva a
chi sul lavoro non
è tutelato.
Formazione
professionale e relazioni industriali sono necessarie per affrontare
le criticità, riqualificare
il lavoro
e aiutare le
imprese a trovare
i profili
professionali che
ricerca.
Salario minimo: sostenerlo significa affermare in modo netto
che c'è una soglia sotto la quale non si
può scendere senza calpestare la dignità di chi lavora, anzi
sotto la quale non è nemmeno lavoro, ma
sfruttamento.
Progettualità di lungo periodo: al nostro paese manca da anni
una politica industriale che cambi
radicalmente il
modello di sviluppo
in chiave di
transizione ecologica.
Nel dibattito pubblico
sono due
le visioni
che cercano
timidamente di
avanzare anche in Italia:
- la
COGESTIONE, ossia un dialogo sociale che ha il fine di
coinvolgere i lavoratori nei processi
decisionali e
aziendali.
Nel nord
Europa (Francia, Germania
e Svezia) esiste
già.
In
italia, in Emilia Romagna nel settore automobili, lo ha fatto la
Lamborghini (azienda acquisita da
Audi nel '98 e
confluita nel grupo Volkswagen): il gruppo ha adattato il modello di
cogestione- tedesco alle
normative e alle prassi sindacali italiane; cosa che in questa
regione è stata facilitata anche
da una forte tradizione
di relazioni tra parti
sociali.
Cogestione
significa che i lavoratori partecipano e trovano ascolto sulle
decisioni strategiche dell'
impresa, proprio in
virtù del fatto che
vivono gli effetti
sulla propria
pelle.
Significa
naturalmente farlo
in forma organizzata.
Quale è
il risultato? Si raggiungono obiettivi e risultati aziendali e allo
stesso tempo i lavoratori sono
soddisfatti del clima
aziendale e
delle loro
condizioni di
lavoro.
La cultura della partecipazione insegna insomma che laddove
attecchisce soddisfa sia le esigenze
del datore di
lavoro sia quelle
lavoratore.
-
il modello WORKERS BUYOUT, ossia le
imprese
salvate dai
lavoratori. E'
quel modello
in cui
i lavoratori, in
caso di crisi aziendali, acquisiscono l' impresa (di solito in forma
di coop) e ne diventano
proprietari.
Cosa ottieni? Salvaguardi l'occupazione e la mantieni nel territorio;
non disperdi la conoscenza
acquisita dai lavoratori; riduci il ricorso agli
ammortizzatori sociali, quindi i costi a carico della
collettività.
Che
ruolo devono
avere le
istituzioni in
tutto questo?
Declinare
queste visioni in politiche attive del lavoro: agevolare il loro
accesso al credito e incentivare
la formazione di chi
trova il coraggio di
mettersi in gioco.
Altri temi
presenti nel
dibattito che potrebbero
migliorare la
dignità del
lavoro sono:
accompagnare, dal punto di vista normativo, le grandi
trasformazioni come
l'avvento
delle
nuove
tecnologie, avendo cura che non diventino devastanti in tema di
diseguaglianze e che si
limitino
a
offrire
servizi
col
fine
di
migliorare la
vita
delle
comunità;
riduzione
dell' orario di lavoro a parità di stipendio perché
lavorare di più non comporta
automaticamente
maggiore
produttività, lavorare qualitativamente meglio
invece si.
Maggiore tempo libero significa inoltre maggiore partecipazione
alla vita pubblica da
parte
dei
cittadini
(E qui ci si
riallaccia all'articolo
1 della
Costituzione).
Per
salvare questa generazione transizione, così come come per
salvare quelle successive, serve una
visione all'altezza
dei tempi che
viviamo.
La sfida
sarà credere nell'intersezione tra mondi e settori che tra di loro
devono obbligatoriamente
cooperare: ambiente;
salute; lavoro; equità
sociale; innovazione.
Le sfide
vanno declinate dai livelli di rappresentanza istituzionale più alta
(Parlamento) ai livelli più
locali (consigli
comunali; piazze, quartieri).
Esiste in Sardegna e nel resto d'Italia, da parte di intere fasce
sociali, una domanda di certezze e di
miglioramento delle proprie condizioni di vita per disgregare
la visione tormentata del domani che
gradualmente prende
piede anche nelle
generazioni successive a
quella degli
anni '80.
Quale
mondo verrà
fuori dipenderà da noi.
Marta Torrente