Domenica 5 giugno, si è svolta la
manifestazione "Giro d'Italia
delle cure palliative pediatriche", grazie alla quale, in ciascuna
regione, praticamente in contemporanea, oltre alla giornata di sport e quindi di condivisione, si è avuta l'opportunità di ragionare su questo importante,
particolare e complesso tema, anche
per sensibilizzare società e istituzioni.
Inutile dire che è stata una giornata
davvero in-formativa, grazie alle testimonianze dei vari attori: familiari e
figure sanitarie. Ma cosa sono le
cure palliative pediatriche e, più
in generale, le cure palliative e
del dolore? Si potrebbe pensare
che, essendo una cura palliativa, essa costituisca un rimedio
superficiale, quasi effimero e
incapace di rimuovere le cause
della malattia. Pur essendo vera
quest'ultima parte, perché le
cause di una malattia terminale,
evidentemente, non possono
essere eliminate, le Cure palliative rappresentano una vera
risorsa, da tutti i punti di vista. Il
termine in oggetto deve la sua
origine al vocabolo latino pallium, un mantello greco che veniva
usato anche dai romani; palliare significa coprire con il pallio. I sanitari impegnati in questo particolare e difficile,
anche dal punto di vista emotivo, servizio (compito e missione) riescono a
fare proprio questo: palliare il dolore
del malato e della famiglia di riferimento; per quest'ultima, anche e
soprattutto durante la cruciale e difficilissima fase della elaborazione del
lutto. Senza contare che, soprattutto
dove presente con modalità di gestione a domicilio, attraverso il servizio in
questione si consente al malato di
vivere la parte finale del proprio percorso in maniera dignitosa, circondato
dai propri affetti e in un ambiente familiare. Con tutte le positive conseguenze del caso. Sì, positive: perché, non
dimentichiamolo, anche nella fine per
antonomasia, quella della vita appunto, esiste il positivus, ossia, etimologicamente, che viene posto. Vengono
posti in essere i presupposti per un
trapasso adeguato e sereno da parte
del malato e di un proseguo di vita
all'insegna dell'accettazione per chi
resta. Come si può ben comprendere,
per affrontare nella maniera corretta un servizio come quello delle Cure
palliative pediatriche e delle Cure palliative in generale, si deve essere formati in maniera adeguata e si deve
inoltre essere spinti dalle giuste motivazioni. Inoltre e questo è un aspetto
che deve essere assolutamente
migliorato, si ha bisogno di un'equipe
multidisciplinare e strutturata.
Purtroppo, oltre all'assenza di figure
importanti (come quella dello psicologo, ad esempio) spesso le equipe in
questione sono numericamente ridotte, con le gravi conseguenze del caso:
da una parte l'eccessivo carico di lavoro per i pochi operatori in servizio; dall'altra l'impossibilità di accogliere le
richieste di pazienti che ne avrebbero
bisogno (e diritto!). Un'altra grave
lacuna è costituita dal fatto che, spesso, non si ha la possibilità di domiciliare il servizio. Tralasciando i motivi, per
i quali dovrebbe essere aperto un ulteriore capitolo, questo è davvero un
aspetto importante. Infatti, tra le altre
cose, l'esperienza relativa alla pandemia da Covid ci ha insegnato che è
assolutamente necessario potenziare
il servizio sanitario territoriale; la visione sanitaria "ospedale-centrica", è
decisamente superata dagli eventi:
tanto dal punto di vista dell'efficacia
della risposta sanitaria, quanto, per
parlare in termini strutturali, da un
punto economico. Numeri alla mano,
c'è un dato oggettivo: con il potenziamento dei territori si ha un evidente
risparmio economico. Si parla tanto di
razionalizzazione dei costi, ma spesso
si producono tagli irrazionali!
Razionalizzare sarebbe appunto
aumentare i servizi nei territori, con
evidente risparmio economico ma senza andare contro le esigenze del
cittadino, del diritto a un Servizio sanitario degno di tale nome. A proposito
di razionalismo, tornando al punto
principale di questo ragionamento,
ossia alle Cure palliative, ci sarebbe
da evidenziare un punto che fa la differenza. Spesso si associa il sostantivo Cura a un modello altruistico-assistenziale; niente di più lontano da ciò
che è, invece, il modello delle Cure
palliative. Infatti, partendo dalle emozioni, a patto non siano irrazionali,
dalla complessità delle stesse e,
in questo caso, anche dall'aggiunta di un percorso formativo adeguato, si ha l'opportunità di accedere a una dimensione della cura
totalmente diversa. Una dimensione nella quale, attraverso il
processo del Prendersi cura di, ci
si apre al Riconoscimento per
antonomasia, quello di un'altra
forma di Vita! Questo aspetto,
soprattutto quando si è al cospetto di persone che hanno la consapevolezza della propria fine imminente, contribuisce a rendere la
vita che finisce degna di essere
vissuta, sino all'ultimo attimo.
Anche perché, il malato terminale,
protagonista del processo, deve essere considerato sempre come l'Altro
del quale ci si deve Prendere cura.
Peraltro, attraverso questo approccio
alla cura, ogni Altro, lontano nel tempo
(chi si prepara al trapasso ma anche
le generazioni future) o nello spazio
(immigrati), ha il diritto a un effettivo
Riconoscimento! Mentre il dovere di
una società che possa essere definita
tale è certamente quello di non abbandonare mai lo stretto sentiero della
Giustizia. Ed è, quello della mancata
giustizia, dell'ingiustizia, l'altro grande
tema che emerge quando si parla di
Cure palliative. Purtroppo, infatti, sino
a quando il servizio in questione non
sarà adeguatamente potenziato, moltissimi malati terminali ne verranno
esclusi, con tutte le conseguenze del
caso. A partire dal mancato riconoscimento e della conseguente fine, spesso addirittura in solitudine, all'insegna
del tormento e del dolore. Il quale
dolore è anche di chi resta, che per
giunta si trova costretto a vivere in una
società percepita quale profondamente ingiusta.
Cristian Nonnis