Il PCI è stato il più grande partito comunista dell'Occidente
Da un punto di vista storico quella di Enrico Berlinguer è una
figura di enorme complessità,
anche perché è stato il segretario del
Partito comunista più grande e influente del mondo occidentale in un periodo
contrassegnato da vicende pregne di
conseguenze. Tanto per fare un esempio, circa un anno e mezzo dopo l'elezione a segretario di Berlinguer, avvenuta nel marzo del 1972, fu assassinato Salvador Allende (11 settembre
1973); nel mese successivo, poi,
Berlinguer fu vittima
di uno "strano incidente" automobilistico in Bulgaria.
Ancora, gli eventi
mediorientali del
1979, capaci di stimolare l'inflazione,
che addirittura
"oscurarono" una
svolta storica che
andò a vantaggio
dell'America e
dell'Europa: la conversione della Cina
all'economia di mercato. Senza contare
che l'idea di Eurocomunismo berlingueriana venne osteggiata a Mosca e
guardata con sospetto (di doppio
gioco) a Washington. Scherzando si
potrebbe quasi dire che l'avversione
nei confronti di Berlinguer mise d'accordo i protagonisti della Guerra fredda.
Naturalmente, nel periodo in questione
anche in Italia ci furono avvenimenti
complessi e capaci di determinare le
sorti politiche: un esempio su tutti, l'assassinio di Aldo Moro con conseguente
fine di quel particolare processo chiamato Compromesso storico. Come è
normale che sia, tantopiù in un aspetto
della vita dell'uomo dominato dalla
prassi come è quello della politica, l'evolversi delle questioni internazionali e
nazionali incisero notevolmente sull'operato politico di Berlinguer. Tuttavia in
un percorso tanto lungo, tortuoso e di
difficile e complessa interpretazione
emerge una costante, che può essere
richiamata con le parole del segretario
stesso: "Essere rimasto sempre fedele
agli ideali (comunisti) della gioventù". In
questa breve, parziale e assolutamente
incompleta analisi, dopo che si è implicitamente sottolineata la necessità di
abbandonare le facili e inutili riduzioni a
cui la figura in questione è stata sottoposta, è necessario porsi una domanda: che tipo di politico è stato Enrico
Berlinguer? Vilfredo Pareto sostenne
che i politici sono di due categorie:
quelli in cui domina l'istinto della prevalenza degli aggregati, i machiavellici
leoni; e quelli in cui prevale l'istinto delle
combinazioni, le machiavelliche volpi.
Benedetto Croce, grande ammiratore
del realismo politico di Machiavelli e di
Marx, in una sua celebre analisi circa
l'onestà politica, sostenne che:
"L'onestà politica non è altro che la
capacità politica". In altre parole, la virtù
del politico non è assolutamente comparabile alla virtù comune. Ci sarebbe,
in ultima analisi, uno scarto incolmabile
tra morale comune e condotta politica.
Tuttavia, come è facile comprendere,
emerge un problema enorme, ossia la
giustificazione della condotta del politico, non essendo essa "controllabile"
dalla morale comune. Berlinguer è
stato un politico riconducibile a questo
tipo di condotta? Ha avuto egli una condotta non conforme alla morale comune? La risposta deve essere netta e
chiara: assolutamente no! Ma allora è
stato un politico poco... politico?
Erasmo da Rotterdam scrisse un libro,
L'educazione del principe cristiano, che
può essere considerato come l'antitesi
più radicale del Principe di Machiavelli.
In tale testo, Erasmo sostenne che l'ottimo principe non può prescindere dalla
"magnanimità, dalla temperanza e dall'onestà". A differenza del principe di
Machiavelli, la soddisfazione sta nell'essere giusto e non nel fare le "gran
cose". Ma per provare a categorizzare
il politico Berlinguer, questo non è sufficiente, ed ecco che allora ci viene in soccorso Kant: nell'appendice a quello
che Norberto Bobbio considerava un
"aureo libro", Per la pace perpetua,
Kant distingue il moralista politico dal
politico morale, condannando il primo
ed esaltando il secondo. Per Kant, pur
essendo la massima "l'onestà è la
migliore politica" quasi sempre smentita dalla pratica, "l'onestà è migliore di
ogni politica"; per cui essa, l'onestà (e
la morale), è la condizione indispensabile per ogni politica. Per il filosofo tedesco sono le conseguenze delle scelte a
fare la differenza e il
politico ha la responsabilità per tali scelte e
soprattutto per le conseguenze da esse
derivanti. Ecco, il politico Enrico Berlinguer,
anche quando avrebbe potuto tranquillamente aizzare la folla e
vincere facile, esprimeva concetti basati
sulla ragionevolezza e
non sull'emotività.
Berlinguer sentiva l'enorme peso delle proprie responsabilità e le
sue parole, così come le azioni, erano
responsabili. Seguendo l'insegnamento gramsciano, Berlinguer cercava di
dirigere il popolo comunista alla propria
emancipazione, anche e soprattutto
intellettuale. Attraverso questo agire
politico basato sull'onestà e sulla
responsabilità, teso a dirigere ed educare il popolo per elevarlo, Berlinguer è
spesso considerato un comunista
"anomalo" o addirittura un socialdemocratico, in quanto non concepiva il controllo dello Stato quale strumento propedeutico al potere della propria fazione. In effetti, per Berlinguer lo Stato
doveva rappresentare tutti, in funzione
non di una fazione ma del Bene collettivo. Ma, a pensarci bene, la valorizzazione del Bene collettivo, anche con un
successivo superamento dello Stato,
non è forse la meta alla quale tende il
comunismo? Senza addentrarci in
questioni di stampo filosofico, si può
quindi tranquillamente affermare che
Enrico Berlinguer, a partire da un atteggiamento morale e responsabile, è
Stato, da intendersi anche quale uomo
di Stato appunto, un vero comunista.
Per cento anni, dall'inizio alla fine.
Cristian Nonnis 26.05.2022